Visita la mostra virtuale che mette in luce i tratti più salienti della vita dell’Albert.

FEDERICO ALBERT OGGI ...

«Oggi il tuo spirito, o Federico, vive ancora ed è in mezzo a noi…».

Canticchio mentalmente la melodia dell’inno a Federico Albert composto negli anni ‘80 dalle suore Albertine e mi appresto a scrivere qualche riga per attualizzare il messaggio di Federico. Il compito è intrigante: cosa direbbe Federico alla società odierna? Cosa farebbe se fosse al posto nostro? Evidentemente non lo possiamo sapere! Ma, guardando alla sua vita, possiamo rintracciare i segni del suo «spirito». Spirito è una parola interessante nella teologia, perché è un nome specifico di Dio. Ma è anche dentro ciascuno di noi, quasi una sintesi di ciò che siamo a un livello più profondo della corporeità, dell’emotività e degli stessi nostri pensieri. Spirito è ciò che guida le nostre scelte, ciò che ci connota e ci distingue, ciò su cui siamo disposti a investire la vita. Se uno spirito umano è immagine di Dio, ci troviamo davanti a un santo o ad alcuni atteggiamenti santi. Io credo che chiunque sia potenzialmente un santo, ovvero possa consentire allo Spirito Santo di abitare in lui, a volte persino senza rendersene conto. E magari lo faccia riproducendo lo spirito di Federico, forse non in maniera intensa e continuativa come lui, ma pur sempre reale. Quando vedo una persona che si fa carico di qualsiasi bisogno altrui, senza ritorni o interessi personali e familiari, si prende cura della gente perché la considera parte dell’umanità che le è stata in qualche modo assegnata, lo spirito di Federico è lì. Lui, buon pastore, diede tutto ciò che aveva e che era per il suo gregge. Quando incrocio chi trova il tempo di fermarsi davanti al tabernacolo, nel silenzio di una chiesa; chi si commuove davanti alla bellezza di un quadro o di un paesaggio elevando il pensiero al Creatore; o chi, di fronte a un essere umano per cui non può far nulla, invia un pensiero positivo al Padre per lui, lo spirito di Federico è lì. Lui conosceva il valore della preghiera, nutrimento della vita interiore e motore di ogni azione degna di Dio. Quando ammiro la passione educativa di certi insegnanti, la fantasia e l’energia profusa per trovare le forme giuste ed efficaci per i ragazzi d’oggi, il desiderio di non perdere nessuno per la strada, affinché il suo domani sia migliore, lo spirito di Federico è lì. Lui, provveditore agli studi, inventava mille modi per portarli alla conoscenza di base e a un mestiere dignitoso. Quando incontro chi non ostenta blasone o ricchezza, anzi rinuncia a ciò che non gli è utile e lo mette a disposizione degli altri con generosità; quando davanti a una persona difficile non si tira indietro, ma accoglie con pazienza, cerca di aiutarla, se è necessario la perdona; quando il suo stile è condito di gentilezza, umiltà, rispetto, lo spirito di Federico è lì. Lui, amico e cappellano del re, non disdegnava i lavori più umili nella stalla della canonica o sui ponteggi da carpentiere, visitava giornalmente i malati, istruiva personalmente fino a notte fonda le sue suore. E dava fin più di ciò che aveva per i poveri, le orfane, i suoi parrocchiani. Quando ascolto il messaggio cristiano espresso con semplicità e concretezza, quando traspare nelle parole la convinzione e l’entusiasmo, quando la propria fede è narrata prima di tutto con la vita, lo spirito di Federico è lì. Lui, predicatore rinomato, capace di muovere i cuori e le anime a conversione, testimoniava in se stesso il Vangelo di cui era portavoce. Quando lo sguardo di una persona non è inquisitorio, né saccente, né giudicante; quando dietro ad esso c’è un cuore che ascolta, intuisce, comprende; quando il suo primo interesse sei tu, perché il volerti bene è l’unico obiettivo del momento presente, lo spirito di Federico è lì. Lui, che fu padre di tanti, padre parroco e vicario, padre a immagine del Padre; lui che era uomo retto e fermo, ma sensibile e delicato; lui che dal paradiso riesce nell’impresa di moltiplicare ancora i suoi figli: ciascuno di noi che oggi lo prega e si può sentire amato dal suo cuore grande.

Pierfortunato Raimondo

Il suo è uno stile di vita, un modo di essere che, siamo convinte, non ha fatto il suo tempo storico: è un valore anche per l’uomo di oggi.

FEDERICO ALBERT VISTO DALLE SUORE ALBERTINE ...

“Nell’umiltà sorridente, nella carità che non fa rumore, nella preghiera continua, non ha avuto paura di giocare la sua vita per Dio e per gli uomini”: questo è Federico Albert. Così abbiamo imparato a conoscere il nostro Fondatore che sentiamo Padre e Maestro.

Il suo è uno stile di vita, un modo di essere che, siamo convinte, non ha fatto il suo tempo storico: è un valore anche per l’uomo di oggi. Mentre è facile cedere allo scetticismo e chiudersi nel privato, o correre con angosciosa frenesia verso sicurezza e prestigio, potere e benessere; oppure, nei casi migliori, fare qualcosa che dia un poco di senso all’esistenza, c’è bisogno di avere davanti agli occhi qualcuno che abbia avuto il coraggio di impegnare la propria vita per valori più incisivi. C’è bisogno di incontrare qualcuno che con coraggio abbia giocato la vita in dimensione di fede e in serenità di spirito. Sono valori che, forse, disorientano, ma nello stesso tempo affascinano, per la pace e la gioia che, come frutto dello Spirito, ti maturano dentro e mettono radici proprio nelle difficoltà e nei contrasti: come nell’Albert, nel quale alla apertura delle idee e al coraggio delle iniziative si unirono l’umiltà del sentire e la disponibilità piena e attenta allo Spirito. Egli sapeva guardare con occhio penetrante e scrutatore nelle profondità di se stesso, degli altri e degli avvenimenti, e vi scopriva sempre la presenza del segno di Dio. E su di Lui contava veramente. Quante volte nel suo epistolario ricorre la parola Provvidenza! Umiltà, carità, preghiera e tanta povertà! E quale povertà! Quella che ci fa arrossire e riflettere. Se stesso e le “sue” opere sempre e soltanto per servire gli altri. In effetti la nostra Congregazione è nata da un’urgenza di carità nell’ambito di una piccola e povera chiesa locale; a livello di servizio quindi e secondo le forme di apostolato proprie del tempo. La novità consisteva nello stile con cui le stesse cose venivano fatte: lo stile dell’Albert. Stile che trasmetteva alle sue prime suore: le formava all’apostolato, le voleva soprattutto madri, capaci di donarsi, con semplicità eroica, senza calcoli, ai più bisognosi. Le educava all’oblio di se stesse per essere attente agli altri, per poterli meglio capire e rispondere più adeguatamente alle loro necessità. Nel corso del tempo, il “servizio” nel campo dell’assistenza, dell’educazione e della formazione ha subito progressivamente una evoluzione per essere all’altezza delle situazioni che mano a mano si presentavano. Però, al di là del tipo di servizio, per noi suore Albertine oggi è sempre più pressante il bisogno di ripensare in profondità il nostro “essere suore” e la rinnovata e accentuata necessità di essere, con semplicità e gioiosa umiltà, attente allo Spirito e segno di radicalismo evangelico, innanzitutto a livello personale, ma anche in modo irrinunciabile a livello comunitario.

Sentiamo che le nostre piccole storie scorrono sotto il suo sguardo.

FEDERICO ALBERT VISTO DALLA FAMIGLIA ...

Per tutti noi il BEATO FEDERICO è sempre stato lo “ZIO VICARIO”

Per tutti noi il BEATO FEDERICO è sempre stato lo “ZIO VICARIO”. La famiglia è sempre stata molto importante per Lui; ad essa dedicava tempo e affetto anche se impegnato in mille attività. Dopo la morte dei genitori e delle sorelle, il legame con il fratello, nostro bisnonno, è diventato ancora più forte: confidenze, aiuto, collaborazione alla costruzione delle opere. Proprio per essergli accanto, il bisnonno decise di costruirsi una casa a Lanzo e quando il Vicario gli chiese di lasciare il luogo scelto a lato della piazza per realizzare invece una scuola/collegio per i ragazzi, egli fece il grosso sacrificio di cedere l’area a Don Bosco.

I nostri genitori hanno alimentato e ci hanno lasciato un ricordo vivo della presenza dello zio Vicario nella nostra famiglia, una presenza vera, attuale, fatta di esperienze vissute sotto il suo sguardo, momenti in cui Lui è stato ed è fiducia, speranza, ispirazione, Provvidenza speciale cui accedere senza alcun nostro merito. Sentiamo che le nostre piccole storie scorrono sotto il suo sguardo. La fede dei nostri genitori in questa sua immanenza era molto sentita e noi ora, ci chiediamo se ed in che misura siamo stati capaci di accogliere e far nostra questa eredità e se riusciremo a viverla ed a trasmetterla con pari forza alle nuove generazioni; ma abbiamo fiducia che Lui non lascerà che essa si perda.

Un uomo che non ebbe paura di "dare la vita per i suoi amici"

Papà, mamma e noi figli abbiamo vissuto situazioni e problemi in cui si sono verificate “coincidenze” in cui ci è parso di vedere il sostegno di una mano forte dall'alto. Spesso ci siamo chiesti se questa sensazione fosse superstizione oppure invece una fede in un aiuto speciale del nostro Beato. Forse è una forma di presunzione, ma siamo sicuri di poterci rivolgere a lui per una via speciale, di famiglia, per chiedere non potere, carriera, soldi ma aiuto a perseguire la via di uomini veri, per vivere cioè gli stessi valori che Lui prima di noi ha vissuto.

Abbiamo ascoltato papà e mamma raccontarci tante volte episodi della vita dello zio Vicario cosi eccezionali che potremmo chiamarli "segni"; ne risultava un esempio forte e l'indicazione di una strada da seguire, sia pure con i nostri mezzi tanto più modesti. Ci hanno descritto la sua fede granitica, la capacità di ascolto piena di umanità, la preghiera intensa, continua ed è stato come provare a mettere in noi un capitale di fede e di amore per il prossimo, a costituire una solida base di costume di vita, una spinta a scegliere buone strade.

C’è un piccolo quadro della Madonna, Mater Amabilis, che era particolarmente caro al Beato perché tappa fondamentale nella sua vocazione religiosa. Ce lo lasciò dicendo: "Che non esca mai dalla famiglia". Di solito era a casa a Torino, ma fu accanto al letto di morte di papà a Lanzo, come era suo grande desiderio, essendo stato casualmente spostato a Lanzo per una mostra; era anche accanto al letto di mamma quando ci ha lasciato, il 30 aprile 2017. Ora questo quadro è passato alla nostra generazione e resta un aiuto all'unione famigliare, centro ed occasione di preghiera insieme, in particolare nelle riunioni di tutta la ormai grande famiglia. La speranza è che ci aiuti tutti a ritrovare e a praticare quei valori e quella visione della vita che lo zio Vicario ha sempre inseguito.

Era l’amore per Cristo Buon Pastore il motore che lo sosteneva in tutte le sue attività

Contesto storico dell'epoca di Federico Albert

Il 22 giugno 1847 il Re Carlo Alberto nominò cappellano effettivo di S.M. il Teologo Federico Albert il quale aveva svolto già dal 1938 l’ufficio di chierico della Reale Cappella. Non sappiamo con quale spirito e con quale entusiasmo l’Albert trascorse questi anni al servizio della Corte Reale, anni che sul piano politico ed ecclesiastico furono un periodo di fuoco: erano gli anni del Risorgimento, della 1° guerra d’Indipendenza contro l’Austria, della sconfitta, dell’abdicazione e della morte di Carlo Alberto ad Oporto; ma furono anche gli anni che videro l’inizio dello scontro tra Stato e Chiesa, che durerà quasi un secolo. In un clima come questo di crescente anticlericalismo, di provvedimenti persecutori nei confronti di persone ed istituzioni ecclesiastiche, doveva essere estremamente imbarazzante e scomoda la posizione dei cappellani di corte, chiamati ad essere fedeli alla chiesa ed alla monarchia.

Il Teologo Albert, con grande equilibrio, fu sempre obbediente al suo Vescovo, l’intransigente Fransoni, fedelissimo al Papa Pio IX, pur mantenendo corretti e cordiali rapporti con le autorità civili e grande venerazione per Casa Savoia, frutto della sua tradizione familiare e dello stile del clero piemontese della vecchia scuola. E’ in questo contesto che il 9 marzo 1852 il cappellano di Corte Federico Albert, riceveva ufficialmente la nomina a parroco di Lanzo, dove farà il suo ingresso come Vicario Parrocchiale e Foraneo, il successivo 18 aprile.

Lanzo contava, all’epoca, circa 2500 abitanti; i più erano poveri contadini (FOTO) che abitavano le campagne delle frazioni sparse attorno al Borgo medioevale. Le case del Borgo erano residenza di persone benestanti (avvocati, notai, medici, farmacisti, burocrati). Lungo via delle Teppe (ora Via Cibrario) e piazza della Frascata (oggi Piazza Gallenga) (FOTO) si svolgevano le attività artigianali e commerciali tra cui, e forse le più numerose erano le osterie, una decina, anche perché Lanzo era centro di mercato e di fiere per le tre vallate. I collegamenti con Torino non erano facili: soltanto nel 1876 sarà inaugurata la ferrovia Ciriè –Lanzo, e le carreggiabili non erano molto ben conservate.

Il Beato Albert si rese subito conto della miseria che affliggeva la maggioranza della popolazione, dovuta a scarsità di lavoro, ignoranza diffusa, alcolismo, numero notevole di vedove, orfani, ragazzi abbandonati a se stessi. Fidando nella Provvidenza e nella preghiera, pur senza mezzi, iniziò subito il restauro della Chiesa parrocchiale di San Pietro, incapace di accogliere tutti i fedeli durante le sacre funzioni. Coinvolse i parrocchiani nelle “processioni” alla Stura per procurarsi le pietre necessarie all’ingrandimento della chiesa e alla costruzione degli edifici per ospitare le opere di carità intraprese nell’interesse dei più deboli: Asilo d’infanzia (1858), Orfanatrofio (1859), Educandato (1866).

Per l’indispensabile aiuto nel gestire le opere fondò la “Congregazione delle Suore Vincenzine di Maria Immacolata” conosciute come Suore Albertine (14 ottobre 1969).

Nominato fin dal 1856 Provveditore agli studi del mandamento di Lanzo si preoccupò delle scuole comunali e, quando il Municipio di Lanzo decretò la chiusura del collegio-convitto, convinse l’amico Don Bosco ad aprire a Lanzo una casa salesiana per la formazione della gioventù maschile.

L’Albert fu anche tenace sostenitore delle iniziative civili che tendevano a migliorare le condizioni di vita della popolazione: ampliamento dell’Ospedale Mauriziano (1868), prolungamento della ferrovia da Ciriè a Lanzo (1876) che benedisse il 6 agosto 1876, due mesi prima della sua morte.

L’operosità dell’Albert per offrire con le sue iniziative assistenza, ma anche istruzione e lavoro, non conobbe sosta. Era l’amore per Cristo-Buon Pastore il motore che lo sosteneva in tutte le sue attività, da predicatore molto richiesto per le sue capacità e preparazione fino ai lavori più umili.

Il 30 settembre 1876 il Beato moriva in seguito alla caduta da un’impalcatura nella Chiesa di San Giuseppe, cuore della Colonia Agricola tanto desiderata per offrire ancora istruzione e lavoro ai giovani delle Valli.

L’affetto, la stima e la riconoscenza di tutti i Lanzesi sono testimoniati dal busto del Beato posto sulla facciata del Suo Istituto nella Piazza a lui dedicata.

1820

Federico Albert nacque a Torino il 16 ottobre 1820. Suo padre era ufficiale di Stato Maggiore dell’esercito e sua madre figlia di un notaio di Giaveno: una famiglia borghese, benestante. Quartogenito di sei fratelli, nell’adolescenza vide morire tutte le sorelle. Gli rimasero i genitori e il fratello più piccolo, Alessandro, che gli sopravvisse.

Dopo gli studi superiori pareva convinto di iscriversi all’Accademia Militare, ma a 16 anni, in preghiera davanti all’altare del Beato Sebastiano Valfré, improvvisamente sentì la chiamata al sacerdozio.

1836 - 1843

Studiò, pur restando in famiglia, filosofia e teologia presso l’Università di Torino.

1838

Venne nominata chierico della Reale Cappella.

1843

La brillante laurea in teologia precedette di un mese la sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 10 giugno 1843.

1847-1852

Prestò servizio di cappellano alla Corte Sabauda. Nel clima risorgimentale e anticlericale di quegli anni, venne pure incaricato a guidare, insieme ad altri due sacerdoti, la Parrocchia di San Carlo a Torino. L’ambiente di Corte non soffocava la ricchezza del suo animo, anzi potenziava in lui l’esigenza di andare incontro ai bisognosi e ai poveri di vario genere: le famiglie che vivevano in condizioni di disagio nelle soffitte dei palazzi dei nobili, i carcerati e i ricoverati in ospedale, i “monelli” di don Bosco ai quali predicò a Valdocco il primo corso di Esercizi Spirituali.

1852

Federico Albert aveva 32 anni nell’aprile del 1852 quando giunse come Parroco a Lanzo, un paese contadino di 2500 persone, non particolarmente religioso. Pieno di entusiasmo, di idee e di buona volontà, si rimboccò le maniche, senza paura di sporcarsi la tonaca: si fece architetto, pittore, muratore e manovale, iniziando col ristrutturare la chiesa. Sulla parete dell’atrio della casa parrocchiale fece scrivere le parole del Vangelo “Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle” (Gv 10,11): Fu il suo programma  a cui rimase fedele fino alla morte.

1858

Fondò l’asilo infantile affidandolo alle Suore di Carità;

1859

Fondò l’Orfanotrofio per le bambine abbandonate

1866

Realizzò l’educandato femminile e la scuola elementare, con laboratori  di francese, di disegno, di musica ai quali affiancò corsi per la preparazione a diventare maestre.
La sua opera ebbe grande diffusione e apprezzamento, perché a quell’epoca, specie nei centri rurali era impedito alle ragazze di accedere all’istruzione;

1864

Si adoperò affinché s. Giovanni Bosco aprisse a Lanzo un Oratorio, che poi diventò un Collegio per i ragazzi.

L’Albert non trascurò il servizio pastorale: sempre disponibile a confessare e a portare il viatico a qualsiasi ora. Predicatore chiaro e molto apprezzato venne spesso invitato per le missioni popolari e tenne varie volte gli esercizi spirituali per il clero e per i laici.

1869

Per assicurare la continuità delle sue opere educative, il Teologo Albert fondò l’Istituto delle “Suore Vincenzine di Maria Immacolata” oggi conosciute come “Suore Albertine”.

Rifiutò le proposte di diventare vescovo delle diocesi di Biella e di Pinerolo, per rimanere accanto alla sua gente.

1873

Sulla scia della “questione operaia” esplosa in Italia in quel periodo, l’Albert capì l’importanza di aprire una “questione contadina” e fondò una Colonia Agricola per formare giovani agricoltori onesti, religiosi ed esperti.

30 settembre 1876

E fu proprio nelle adiacenze della Colonia Agricola, che Federico Albert, perse la propria vita in un incidente, mentre decorava la volta della Cappella, che aveva fatto erigere per l’Oratorio parrocchiale.
Cadde da sette metri d’altezza, battendo fortemente la testa; trasportato dai soccorritori nella casa parrocchiale, le sue condizioni apparvero subito gravi.  L’Albert morì due giorni dopo, la mattina del 30 settembre 1876.

1937

Sepolto inizialmente nel cimitero di Lanzo, fu traslato nel Sacello della Cappella di Casa Madre delle suore Albertine.

21 ottobre 1984

Nell’imminenza della beatificazione, la Chiesa Parrocchiale di Lanzo accoglie per sempre il suo amato Vicario collocandone le spoglie nella Cappella del Cuore di Maria.

30 settembre 1984

Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II a Roma

BEATIFICAZIONE
Roma 30 settembre 1984

Il nome di Federico Albert è risuonato alto a Roma, a Lanzo, a Torino e in tanti altri luoghi: dalla voce forte e autorevole di Papa Giovanni Paolo II che il 30 settembre 1984 lo ha proclamato beato, alla voce fioca e commossa della persona “senza nome” che, in seguito alla proiezione di una serie di diapositive sulla vita dell’Albert, in una parrocchia della cintura di Torino, esclama: “Così sì che vale la pena di vivere!” Sì, per molta gente questo è stato un periodo di presa di coscienza di un particolare stile con cui vivere radicalmente il Vangelo, stile di umiltà, carità e preghiera, anche oggi più che mai, ricco di senso e di validità.

Dall’omelia di Giovanni Paolo II nella concelebrazione in San Pietro

“Oggi desideriamo cantare un alleluia particolare al Buon Pastore.
Desidera cantarlo la Chiesa che si rallegra dell’elevazione agli altari mediante la beatificazione di due italiani, di un belga e di una spagnola…
Adoriamo Cristo, Buon Pastore, nella testimonianza che il Beato Federico Albert offrì quale ministro di Dio, totalmente dedito al bene delle anime a lui affidate ed ai bisogni dei poveri… Il suo spirito di fede, la sua obbedienza fecero di lui un elemento equilibratore, fra i membri del presbiterio e un pastore zelante particolarmente attento ai giovani e ai poveri…”

TORINO: Santuario della Consolata 5-6 ottobre 1984

Momenti delle celebrazioni

Cattedrale 7 ottobre 1984

La parola dell’arcivescovo S.E. Anastasio Ballestrero in occasione dei festeggiamenti per la beatificazione dei due parroci piemontesi: Federico Albert e Clemente Marchisio:

“Parroci per tutta una vita…per essere in mezzo al popolo di Dio, per essere annunziatori del Vangelo, donatori di grazia, di perdono, di verità, di amore ed essere sempre operatori e promotori di una fraternità umana e cristiana.” “Erano dei pacificatori. La pace non l’hanno trovata fatta…la pace non è stata una parola che abbiano pronunciato molto, ma l’hanno costruita giorno dopo giorno…” “Hanno anche sofferto… perché i loro tempi per molti aspetti assomigliavano ai nostri: anche allora circolavano i venti di molte mode, anche allora c’erano tante innovazioni di cui era difficile capire il perché. “La mitezza di Cristo non è mai diventata nella loro vita pavidità o paura, ma sempre incrollabile fede e inesauribile testimonianza di amore.”

16 ottobre 1984

Il vicario Albert torna nella sua parrocchia

Proclamato ora Beato, riconosciuto cioè come modello per ogni cristiano, pensiamo che egli non appartenga più solo a noi, sue figlie spirituali, ma a tutta la comunità ecclesiale, e che la Parrocchia offra maggiori occasioni ai fratelli di Lanzo, delle valli, e a quelli che sono di passaggio, di fermarsi in preghiera dinanzi alle sue spoglie.

21 ottobre 1984 - Lanzo

Domenica 21 ottobre la comunità parrocchiale di San Pietro in Vincoli si riunisce festosamente intorno al suo Santo Vicario Federico Albert.

22 Novembre 1984 - Viverone

25 novembre 1984 - Pionca (Pd)

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